La scomparsa del Maestro lascia un vuoto
profondo nella divulgazione dell’arte
nel nostro paese. L’Intelligenza e
l’eleganza delle sue “lezioni” aprirono
un nuovo varco per l’arte in tv;
certamente il suo amico Vittorio Sgarbi
ha avuto il merito di inaugurare quella
stagione, ma quella di Daverio
è stata alla lunga più “democratica”.
Era l’autunno del 2001 quando vidi, per la prima volta su Rai 3, Philippe Daverio nella fortunata trasmissione Passepartout. Realizzai subito che quell’uomo, dall’apparente “stravagante eleganza”, mi piaceva. L’arte che ha sempre attraversato la mia vita, per cultura e passione, trovava in quell’uomo un divulgatore con un linguaggio semplice ma efficace. Da allora, l’appuntamento della domenica a pranzo divenne un evento irrinunciabile in cui la sua curiosità, il suo sapere, i suoi aneddoti entrarono a far parte del mio mondo.
Ricordo le tante volte in cui, l’argomento della puntata diventava motivo di discussione per le “sfumature” che Daverio lasciava intendere o intravedere con parallelismi tra diversi periodi artistici. L’Intelligenza e l’eleganza delle sue “lezioni” aprirono un nuovo varco per l’arte in tv; certamente il suo amico Vittorio Sgarbi ha avuto il merito di inaugurare quella stagione, ma quella di Daverio è stata alla lunga più “democratica”.
Seduto alla sua scrivania con alle spalle l’opera di Anna Rosa Faina Gavazzi, “Expédition nocturne n° 1” (opera concettuale che richiama le cancellature di Emilio Isgrò), sapeva raccontare l’arte classica, moderna o contemporanea con il suo personale linguaggio: semplice, diretto, efficace.
Ogni argomento, trattato con professionalità, sapere e certezze di chi ha lavorato sul campo, finiva con il racconto di aneddoti curiosi e particolari che aiutano nella comprensione e nel fissare meglio l’argomento.
Da allora tutto è cambiato, il suo linguaggio ci ha insegnato che si può parlare e raccontare di arte anche con arguzia. Era un “divertissement”, sapeva trascinarti nel suo mondo, dove, sempre con grande umiltà, Educazione superlativa, savoir fare e charme, non diceva mai una parola in più o in meno.
Negli anni l’ho seguito, ho letto tanti suoi libri (straordinario Il secolo spezzato delle avanguardie. Il museo immaginato, Collana Arte, Milano, Rizzoli, 2014) che mi hanno arricchito di nozioni e sapere guardando il tutto da un altro punto di vista.
Nel 2017, in una di quelle strane serate “calde” ma invernali di Milano, ho avuto la fortuna di passare alcune ore all’aperto seduti in giardino con il maestro Daverio. Reduci da una conferenza sull’arte della ceramica (altra mia grande passione) ci ritrovammo, sorseggiando un ottimo bianco del Trentino, a parlare di tutto. Dopo due ore, l’arte divenne un unico grande argomento, “l’estetica” della vita. Sul finire della conversazione, quando il tema toccò la territorialità geografica, con garbo mi disse: “lei che è uomo del sud, sa che se non fosse stata per la cultura napoletana e palermitana oggi i tedeschi camminerebbero ancora con le corna in testa!”.
Ebbene, non so se l’evoluzione della storia sarebbe poi stata questa, ma resta il fatto che tutte le sue asserzioni erano il frutto di argomentazioni precise, dettagliate e acute.
Ed allora ripensando al quadro dietro le sue spalle quando appariva in tv, la scritta recita: je dois apprendre aux curieux, ovvero “io devo insegnare ai curiosi”. È proprio così, la conoscenza e l’arte, più che insegnare si condividono, è un pane che si spezza per placare la fame di conoscenza e chi non è curioso, chi non ha fame di sapere non potrà mai apprezzarlo.
In quella fantastica serata Philippe mi ha invitato al suo convivio, ha fatto posto ad un curioso al quale insegnare e dal quale apprendere, seppure in minima parte, un altro piccolo pezzo del proprio bagaglio. Perché si è insegnanti, si è critici, si è maestri, solo se la curiosità, insita nell’uomo che vuole apprendere, non smette mai di guidarci.
Ciao Maestro.